In tanti anni di esami ho sperimentato molte
strategie che mi permettessero di rendere il colloquio finale... un vero
colloquio.
Il “ colloquio” è un “ parlare con”, un parlare
insieme: non significa che ti faccio dodici domande e tu mi devi dare dodici risposte, ma nemmeno puoi pensare
che io ascolti un monologo di venti minuti che non interessa a nessuno, meno
che mai a te che lo stai recitando!
Sono tante le variabili che entrano in gioco:
- prima di tutto è un esame, quindi un momento di forte tensione ed emotività,
in cui il ragazzo ha la sensazione di doversi giocare il tutto per tutto: non é
la condizione ideale per dare il meglio;
- poi c’è la questione del tempo: circa venti minuti possono essere
pochissimi oppure eterni;
- infine la difficoltà che queste generazioni hanno nel sostenere un discorso
formato da frasi di media lunghezza, con un soggetto e un verbo possibilmente
concordati tra loro, legate da nessi logici
Tanti anni fa era una vera
e propria interrogazione. L’alunno sedeva di fronte a dieci insegnanti che, uno
per volta, chiedevano tutti qualcosa. Era difficile assistere a prestazioni
soddisfacenti: neanche all’esame di maturità chiedono tutte le materie di tutto
l’anno!
Poi c’è stata la “moda”
degli argomenti interdisciplinari. Traduco: l’alunno si sedeva di fronte
agli stessi dieci insegnanti di prima e si lanciava in uno sproloquio di pura
follia che collegava argomenti improbabili! Esempio : “Inizio con storia e
parlo della seconda guerra mondiale, poi del Giappone che aveva partecipato
così collego geografia, poi dei vulcani perché il Giappone ne ha tanti e ci
metto scienze; per italiano racconto “viaggio al centro della terra” che si
collega con i vulcani giapponesi (sì lo so , Verne è francese, ma io il libro
l’ho letto in italiano, prof!), poi siccome in quel viaggio hanno fatto un
sacco di fatica, parlo dei canti di lavoro dei neri e del blues così piazzo
musica e dico quali sono i muscoli che muovo per lavorare così mi tolgo ed.
fisica, nel frattempo faccio vedere i disegni che ho fatto in arte sul
“ritratto” e parlo di Picasso perché tanto anche nei miei disegni non si
capisce niente! Quando ho finito, saluto tutti in inglese e me ne vado. Devo
aggiungere anche un “My God!”, così ci metto religione?”
Quando finalmente si è
capito che il colloquio pluridisciplinare era altro, abbiamo partorito la
“tesina”. NOI, cresciuti andando nelle biblioteche di quartiere per copiare a
mano dalle enciclopedie le informazioni che ci servivano, rielaborandole
personalmente prima di scriverle (non perché eravamo bravi, ma perché sarebbe
stato troppo faticoso ricopiare tutto!), abbiamo chiesto a dei ragazzi
perennemente “connessi” di fare una ricerca! Tanto valeva aprire direttamente
wikipedia…. Abbiamo cercato di mettere dei “paletti”: prepara una presentazione
PPT, non scrivere quasi nulla nelle slide, non farti aiutare dalla
mamma-papà-quelladelleripetizioni-lacuginapiùgrande-tuofratellochel’hafattal’annoscorso……
Risultato: l’alunno
continuava a sedersi di fronte ai dieci insegnanti, apriva la bocca e recitava
(senza nemmeno troppa partecipazione) ciò che aveva imparato a memoria. Guai a
interromperlo! Di solito, una volta perso il filo del discorso, non lo
recuperava più… Di fargli una domanda, neanche a parlarne: lui, quello sapeva.
Quando lo sapeva.
Quest’anno mi sono detta:
basta! Il rischio è che l’alunno si sieda di fronte a nove insegnanti: io me ne
vado via prima!
Nella mia terza ho proposto
un esperimento, basandomi su queste riflessioni:
- tutto quello che volevo accertare dal punto di vista della conoscenza degli
argomenti, l’ho già accertato: ho valutato, mettendo dei voti sulla pagella e
ci sono già i risultati delle prove scritte; quindi l’alunno ha avuto tutte le
possibilità di dimostrare quanto degli argomenti trattati è riuscito ad
interiorizzare. Durante l’orale non sono i contenuti l’aspetto principale.
- Il colloquio deve dimostrare che l’alunno è in grado di parlare: il
contenuto diventa allora l’occasione per esprimermi in modo corretto,
argomentando i miei pensieri, esponendo le mie opinioni, valutando criticamente
le mie esperienze. Come posso valutare queste competenze se gli dico prima cosa
impararsi a memoria?!
Evidentemente, l’alunno va guidato: non si può chiedergli di parlare
dell’universo mondo! Quindi il problema è trovare qualcosa di famigliare
ma non di preparato prima.
Ecco come ho lavorato.
Fin dall’inizio dell’anno ho spiegato ai ragazzi
che tutte le unità di lavoro che avremmo affrontato, una volta terminate,
sarebbero state “archiviate” in un raccoglitore, che abbiamo chiamato il
“raccoglitore degli esami”. Faccio un esempio: mentre studiavamo gli USA
abbiamo seguito la rielezione di Obama e fatto un approfondimento sulle
differenze tra le funzioni di Obama e quelle di Napolitano; tutto il
“pacchetto” (corredato dai vari lavori sia cartacei che multimediali) è stato
ordinato mediante un indice e raccolto in una cartellina nel famoso quaderno
per gli esami. Durante tutto l’anno, il raccoglitore è andato via via
arricchendosi, fino a comprendere lavori di vario genere e di ambiti diversi.
Contemporaneamente, sulla loro chiavetta usb mettevano anche i file realizzati
da loro.
Al momento dell’esame orale l’alunno si presentava
col suo “bagaglio”; gli si chiedeva ovviamente di cominciare scegliendo un
lavoro, ma poi veniva abbastanza naturale l’inserirsi di altri colleghi o la
curiosità di fare domande; l’alunno era quasi sempre in grado non solo di
illustrare il contenuto,ma di ricostruire le fasi di lavoro, di dare un
giudizio in proposito,…e spesso aveva anche la soddisfazione di far vedere
quanto aveva lavorato! Nessuno di noi aveva
il timore di chiedere qualcosa e nessuno di loro ha dovuto imparare discorsi
a memoria.
Certo, non tutto è andato così bene: era la prima
esperienza e ci sono aspetti da sistemare. Ma ho assistito a esami quasi sempre
molto dignitosi, spesso molto interessanti e comunque mai noiosi.